martedì 8 gennaio 2013

NAMELESS GANGSTER: RULES OF THE TIME

1982. Ik-hyun, funzionario della dogana coreana prossimo al licenziamento, s’inventa trafficante di droga, smerciando una partita di eroina ai giapponesi. Da quel momento la sua vita cambia radicalmente: muovendosi con abilità nel sottobosco criminale di Busan, Ik-hyun stringe un fruttuoso sodalizio con il boss Hyung-bae, sbrigativo e spietato, ritrovandosi in breve tempo ai vertici dell’organizzazione malavitosa più potente della città. Ma l’improvvisa offensiva della polizia aprirà le prime crepe nell’impero costruito dai due, minando per sempre il rapporto che li lega (dal catalogo del TFF).








Saga gangsteristica dai risvolti familiari, Nameless Gangster: Rules of the Time rappresenta la parabola criminale di Ik-hyun (Choi Min-sik, al ritorno sul grande schermo dopo I Saw the Devil) su uno sfondo storico allargato: dalle retate dei primi anni ’60 alla guerra al crimine dichiarata dal presidente Roh Tae-woo negli anni ’90, passando per il “rieducativo” Samchung Prison Camp istituito all’inizio degli anni ’80 dall’allora presidente Chun Doo-hwan. Parola chiave: “Daebu”, termine che designa sia un parente collaterale più anziano sia un “padrino” o “boss” malavitoso. Doppia accezione che il film sfrutta per creare un cortocircuito gravido di conseguenze: Choi Ik-hyun è il Daebu - “significato a” - di Choi Hyung-bae (Ha Yung-woo, già protagonista di The Yellow Sea), ma quest’ultimo è il Daebu - “significato b” - di una gang in ascesa nella città di Pusan. Naturalmente l’obiettivo segreto di Ik-hyun sarà quello di scippare il “significato b” a Hyung-bae e diventare così un Daebu a pieno titolo.

Tirare in ballo antecedenti coppoliani o scorsesiani quali Il padrino o Quei bravi ragazzi non pare troppo calzante né di grande aiuto per individuare le matrici profonde del terzo lungometraggio di Yoon Jong-bin - già autore di The Unforgiven (2005) e Beastie Boys (2008). Inevitabilmente qualche concordanza coi modelli statunitensi sussiste, ma si tratta per lo più di assonanze superficiali riconducibili ad analogie di atmosfera. Anche l’associazione suggerita dalla presenza di Choi Min-sik e Ha Yung-woo con I Saw the Devil (2010) e The Yellow Sea (2010) risulta piuttosto fuorviante. Nameless Gangster ha ben poco a che fare con l’opprimente cupezza del noir di Kim Jee-woon o con la dirompente violenza dell’action di Na Hong-jin. La sua impronta storico-politica si riallaccia piuttosto ai gangster movie di Im Kwon-taek, segnatamente alla trilogia General’s Son (1990, 1991, 1992) e soprattutto al più recente Raging Years (2004): film che, sebbene da prospettive diverse e decisamente più tradizionalistiche di quella di Yoon, impiegano il genere gangsteristico per coniugare intrattenimento spettacolare e affresco storico.

Legame genetico che, secondo chi scrive, si manifesta sia nel pretestuoso patriottismo di Ik-hyun (giustifica la decisione di piazzare dieci chili di eroina sul mercato giapponese come vendetta per la trentennale occupazione coloniale) sia nella basicità della messa in scena: lungi dallo sfociare in vertiginoso cruore o dal trasfigurare in esasperato iperrealismo come nelle succitate pellicole di Kim e Na, qui l’azione assume configurazioni audiovisive che oscillano tra il convenzionale e il caricaturale, puntando più sulla qualità grezza dei combattimenti e dei regolamenti di conti che sul virtuosismo cinematografico. Pur non essendo una produzione ad alto budget, Nameless Gangster: Rules of the Time si è comunque rivelata una pellicola di grande successo, totalizzando più di quattro milioni e mezzo di spettatori, piazzandosi tra i primi dieci film più visti in Corea nel 2012 e aggiudicandosi ben quattro Blue Dragon Film Award (i secondi riconoscimenti nazionali in ordine d’importanza dopo i Grand Bell Awards): Best Actor a Choi Min-sik, Best Screenplay a Yoon Jong-bin, Best Music a Cho Young-wuk e Popularity Award per Ha Yung-woo.

Recensione pubblicata su www.spietati.it.

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