1982. Ik-hyun, funzionario della dogana coreana prossimo al
licenziamento, s’inventa trafficante di droga, smerciando una partita di
eroina ai giapponesi. Da quel momento la sua vita cambia radicalmente:
muovendosi con abilità nel sottobosco criminale di Busan, Ik-hyun
stringe un fruttuoso sodalizio con il boss Hyung-bae, sbrigativo e
spietato, ritrovandosi in breve tempo ai vertici dell’organizzazione
malavitosa più potente della città. Ma l’improvvisa offensiva della
polizia aprirà le prime crepe nell’impero costruito dai due, minando per
sempre il rapporto che li lega (dal catalogo del TFF).
Saga gangsteristica dai risvolti familiari, Nameless Gangster: Rules of the Time rappresenta la parabola criminale di Ik-hyun (Choi Min-sik, al ritorno sul grande schermo dopo I Saw the Devil)
su uno sfondo storico allargato: dalle retate dei primi anni ’60 alla
guerra al crimine dichiarata dal presidente Roh Tae-woo negli anni ’90,
passando per il “rieducativo” Samchung Prison Camp istituito all’inizio
degli anni ’80 dall’allora presidente Chun Doo-hwan. Parola chiave:
“Daebu”, termine che designa sia un parente collaterale più anziano sia
un “padrino” o “boss” malavitoso. Doppia accezione che il film sfrutta
per creare un cortocircuito gravido di conseguenze: Choi Ik-hyun è il
Daebu - “significato a” - di Choi Hyung-bae (Ha Yung-woo, già
protagonista di The Yellow Sea), ma quest’ultimo è il
Daebu - “significato b” - di una gang in ascesa nella città di Pusan.
Naturalmente l’obiettivo segreto di Ik-hyun sarà quello di scippare il
“significato b” a Hyung-bae e diventare così un Daebu a pieno titolo.
Tirare in ballo antecedenti coppoliani o scorsesiani quali Il padrino o Quei bravi ragazzi
non pare troppo calzante né di grande aiuto per individuare le matrici
profonde del terzo lungometraggio di Yoon Jong-bin - già autore di The Unforgiven (2005) e Beastie Boys
(2008). Inevitabilmente qualche concordanza coi modelli statunitensi
sussiste, ma si tratta per lo più di assonanze superficiali
riconducibili ad analogie di atmosfera. Anche l’associazione suggerita
dalla presenza di Choi Min-sik e Ha Yung-woo con I Saw the Devil (2010) e The Yellow Sea (2010) risulta piuttosto fuorviante. Nameless Gangster
ha ben poco a che fare con l’opprimente cupezza del noir di Kim
Jee-woon o con la dirompente violenza dell’action di Na Hong-jin. La sua
impronta storico-politica si riallaccia piuttosto ai gangster movie di
Im Kwon-taek, segnatamente alla trilogia General’s Son (1990, 1991, 1992) e soprattutto al più recente Raging Years
(2004): film che, sebbene da prospettive diverse e decisamente più
tradizionalistiche di quella di Yoon, impiegano il genere gangsteristico
per coniugare intrattenimento spettacolare e affresco storico.
Legame
genetico che, secondo chi scrive, si manifesta sia nel pretestuoso
patriottismo di Ik-hyun (giustifica la decisione di piazzare dieci chili
di eroina sul mercato giapponese come vendetta per la trentennale
occupazione coloniale) sia nella basicità della messa in scena: lungi
dallo sfociare in vertiginoso cruore o dal trasfigurare in esasperato
iperrealismo come nelle succitate pellicole di Kim e Na, qui l’azione
assume configurazioni audiovisive che oscillano tra il convenzionale e
il caricaturale, puntando più sulla qualità grezza dei combattimenti e
dei regolamenti di conti che sul virtuosismo cinematografico. Pur non
essendo una produzione ad alto budget, Nameless Gangster: Rules of the Time
si è comunque rivelata una pellicola di grande successo, totalizzando
più di quattro milioni e mezzo di spettatori, piazzandosi tra i primi
dieci film più visti in Corea nel 2012 e aggiudicandosi ben quattro Blue
Dragon Film Award (i secondi riconoscimenti nazionali in ordine
d’importanza dopo i Grand Bell Awards): Best Actor a Choi Min-sik, Best
Screenplay a Yoon Jong-bin, Best Music a Cho Young-wuk e Popularity
Award per Ha Yung-woo.
Recensione pubblicata su www.spietati.it.
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