mercoledì 5 ottobre 2016

HOUNDS OF LOVE

 




Nell'estate del 1987, la diciassettenne Vicki Maloney viene rapita da una coppia di serial killer, John e Evelyn White. Dal momento che la fuga pare impossibile, Vicky inizia a osservare la dinamica di coppia dei suoi sequestratori, indovinando rapidamente che, per sopravvivere, dovrà incunearsi tra loro (dal pressbook). 








Thriller psicologico ad alto contenuto di sadismo e ferocia manipolatoria, Hounds of Love, lungometraggio cinematografico d'esordio di Ben Young (classe 1982), rappresenta a prima vista l'ennesima variazione sul tema della coppia di serial killer in cui la figura femminile asseconda ed esegue più o meno docilmente gli ordini perversi del maschio padrone. In questa sorta di sottogenere all’insegna dell'amour fou è immancabilmente la gelosia della donna servile a incrinare l'eccitante ecatombe amorosa della coppia: impossibile non pensare a titoli come The Honeymoon Killers (1970) di Leonard Kastle o al più recente Alleluia (2014) di Fabrice Du Welz, passando per Profundo carmesí (1996) di Arturo Ripstein. Ma, a differenza delle pellicole citate, Hounds of Love apporta due sostanziali modifiche: la prima è quella della stanzialità spaziale (i tre film menzionati sono sostanzialmente road movie irrorati di sangue), la seconda è quella dell'introduzione della "terza incomoda" (la ragazza sequestrata stavolta non si lascia imprigionare nel canonico ruolo di vittima designata/carne da macello, ma conquista gradualmente qualificazione attiva grazie alle sue capacità di osservazione).

Passato pressoché in sordina nella sezione veneziana Giornate degli Autori, Hounds of Love concentra la sua forza illocutoria proprio in questi due punti di torsione espressiva, facendo di necessità virtù: l'ambientazione anni '80 a Perth (Australia Occidentale) non risponde soltanto a esigenze di verosimiglianza (Young si è ispirato a casi reali di coppie criminali), ma soprattutto alla necessità di contenere i costi produttivi (non inganni il formato cinemascope 2:35, il film è stato girato in digitale con due camere Arri Alexa e una Phantom Flex4k per le riprese ultrarallentate a 1000 fps). Questo solido ancoraggio realista, reso possibile dalle particolari condizioni urbanistiche di Perth (intere aree sono state costruite negli anni '70 e '80, restando praticamente immutate fino a oggi), dà a Hounds of Love un sapore tanto credibile quanto singolare: è anche in virtù del radicamento ambientale che il film non scade nell'apologo surreale o nell'allegoria sociologicamente connotata. Una singolarità che segna altrettanto incisivamente l'impianto drammaturgico: la cattura di una preda che, vistasi impossibilitata a fuggire, sfrutta le risorse psicologiche per lacerare la relazione sadomasochistica dei suoi aguzzini sposta il centro gravitazionale del dramma dalla follia a due ermeticamente chiusa allo squilibrio di una triangolazione emotiva sempre sul punto di rovinare da una parte o dall'altra. Il microcosmo a tenuta stagna della violenza domestica e del controllo maschile si tramuta progressivamente in uno spazio sbilanciato e scricchiolante, fratturato da improvvise crepe che ne compromettono la stabilità strutturale. Ed è precisamente sulla spinta di queste componenti singolari che Hounds of Love, come afferma lo stesso Ben Young, acquisisce una traiettoria in qualche modo universale: "Dal punto di vista tematico il film tratta di codipendenza, controllo e violenza domestica, temi che per loro natura sono molto universali".

Ispirato dalle letture materne (la madre di Ben Young è scrittrice di crime fiction ed è solita passare i libri che legge per le sue ricerche al figlio), Hounds of Love (titolo a sua volta ispirato dall'omonimo brano di Kate Bush non finito nel film a causa dell'eccessivo costo dei diritti) articola la triangolazione emotiva anche nel rapporto tra lo spettatore e i personaggi messi in scena: se la coppia di aguzzini interpretata da Emma Booth e Stephen Curry (il volto della commedia australiana, strappato qui alla consueta maschera rassicurante) reclama una qualche empatia nelle vessazioni a cui John è sottoposto dallo spacciatore-creditore e nell'affetto mostrato da Evelyn per il suo cane (animale che sostituisce metaforicamente i figli lontani), Vicki oggettiva esemplarmente all'interno del film la posizione spettatoriale (è in una condizione di immobilità fisica e percezione accresciuta: submotricità e iperpercettività che caratterizzano la situazione della visione cinematografica). E, infine, lo stratagemma comunicativo adoperato da Vicki (Ashleigh Cummings) per comunicare col fidanzato (il crittogramma che, lo sappiamo dall'inizio del film, potrà essere decodificato solo da Jason) introduce un ulteriore meccanismo di attivazione cognitivo-emotiva dello spettatore.

Proveniente dalla regia di serie televisive, video pubblicitari e musicali, Young manipola l'impasto audiovisivo con padronanza e disinvoltura: nonostante uno sguaiato ammiccamento a Il silenzio degli innocenti (il raccordo di montaggio ingannevolmente salvifico del prefinale) e uno scioglimento piuttosto artificioso, il cineasta australiano esaspera le riprese in slow motion con lenti lungofocali, creando un sentimento di voyeurismo immediato (si veda l'incipit) e agganciando questo registro visivo alla perversione predatoria di John. E anche se gli inserti musicali non brillano affatto per originalità ("Nights In White Satin", The Moody Blues; "Lady D’Arbanville", Cat Stevens; "Atmosphere", Joy Division), il soundtrack elettronico di Dan Luscombe, tra droni opprimenti e sonorità ansiogene, incapsula minacciosamente l'intero film nell'incubo della paranoia permanente. Insieme a Chopper (2000) di Andrew Dominik e Animal Kingdom (2010) di David Michôd, non a caso altri due lungometraggi d'esordio, Hounds of Love compone un ideale trittico sulla perdita dell'innocenza australiana.

Pubblicata su www.spietati.it.

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