Gloria, infermiera alla camera mortuaria con una figlia avuta da un
matrimonio fallito, incontra Michel tramite un annuncio per cuori
solitari on line. Per lei è subito passione cieca, mentre per lui,
almeno inizialmente, una delle tante possibilità per guadagnare denaro
abbindolando una donna sola. Scoperta la truffa, Gloria decide comunque
di unirsi a lui in un legame pericoloso e, lasciata sbrigativamente la
figlia a un’amica, si finge sorella di Michel per continuare la vita di
espedienti e raggiri a scapito di donne in cerca di compagnia. I due
iniziano così una vita di viaggi e incontri, scandita però dagli omicidi
perpetrati da Gloria, consumata dalla gelosia e incapace di tollerare
che il compagno si conceda sessualmente alle donne scelte di volta in
volta.
Secondo capitolo di un’annunciata trilogia delle Ardenne (inaugurata dieci anni fa con Calvaire), Alleluia
è esplicitamente ispirato alla vicenda di Martha Beck e Raymond
Fernandez, coppia di assassini seriali della seconda metà degli anni ’40
meglio noti come “The Lonely Heart Killers”.
Le sanguinose peripezie di Raymond e Martha - entrambi condannati alla
sedia elettrica e giustiziati nello stesso giorno, l’8 marzo 1951 -
hanno già originato due film: il primo è The Honeymoon Killers
(1969), sceneggiato e diretto da Leonard Kastle che rimpiazzò Martin
Scorsese dopo una sola settimana di riprese (nonché un altro regista,
Donald Volkman) poiché considerato eccessivamente lento e meticoloso.
Unico film girato dal compositore Kastle, I killers della luna di miele si distingue per l’impronta ruvidamente grottesca e per lo sferzante radicamento nel contesto americano del periodo. L’altro è Profundo Carmesí (1996) di Arturo Ripstein, trasposizione in terra messicana della folie à deux di Martha e Raymond che esalta le componenti erotiche e spiccatamente melodrammatiche latenti nel film di Kastle.
Al suo quarto lungometraggio (tra Vinyan e Alleluia Du Welz ha realizzato Colt 45,
polar con Gérard Lanvin e JoeyStarr di prossima uscita nelle sale
francesi), il quarantaduenne cineasta belga si discosta dal prototipo
statunitense prendendo letteralmente le mosse dal film di Ripstein. È
stata proprio la visione di Profundo Carmesí ad aver
spinto Du Welz al riadattamento delle gesta dei due assassini dei cuori
solitari in territorio belga: inizialmente scritta per Yolande Moreau,
costretta a rinunciare a causa di riserve personali, la sceneggiatura di
Alleluia procede difatti nella stessa direzione di Profundo Carmesí,
trasportando il fatto di cronaca dalla realtà statunitense nel paese
natale del regista - in questo caso allo spostamento geografico si
accompagna quello cronologico, il film di Du Welz traslando la vicenda
nella contemporaneità, anche se i riferimenti temporali altalenano tra
annunci in rete, lettere cartacee, telefoni fissi e automobili anni
’80-’90. Ciononostante Alleluia non ricalca
pedissequamente il canovaccio narrativo della pellicola di Ripstein,
eliminando quasi del tutto ciò che precede e segue l’incontro di Gloria
(Lola Dueñas) e Michel (Laurent Lucas, già protagonista di Calvaire), concentrandosi esclusivamente sulle dinamiche di squilibrio sentimentale che si sviluppano nella loro relazione.
Ciò
che preme a Du Welz è l’ossessione amorosa, matrice generativa della
sua poetica (si pensi alla distorsione coercitiva del rapporto coniugale
in Calvaire o alla delirante ostinazione materna di Vinyan),
come grimaldello per esplorare le dinamiche di prevaricazione che
funestano, ammorbandolo, il rapporto di coppia: “Ciò che mi ha
profondamente interessato, al di là del fatto di cronaca e degli omicidi
di donne, è la storia d’amore, è questo dérèglement amoroso, è
il nido del fascismo, la coppia; sempre uno che tenta di dominare
l’altro, uno che cerca di imporre la propria visione all’altro; questo
cambia, ma è proprio questo che mi ha interessato profondamente” (il
regista al termine della proiezione del film alla Quinzaine des
Réalisateurs). Dominio, alienazione, possesso, avidità, squilibrio: sono
queste le tensioni che, miscelate in dosi cangianti, attraversano Alleluia
dandogli un’andatura irrequieta e vacillante esaltata dalla grana della
pellicola 16mm (fortemente voluta da Du Welz per conferire all’immagine
una qualità appiccicaticcia e formicolante), dall’illuminazione
pressoché naturale di Manu Dacosse (già direttore della fotografia di
Hélène Cattet e Bruno Forzani in Amer e L'étrange couleur des larmes de ton corps)
e dall’allestimento scenografico dell’inseparabile Manu de Meulemeester
(particolarmente ragguardevole il lavoro di configurazione degli
interni domestici, ispirato al libro Intérieurs
di François Hers e Sophie Ristelhueber, ricognizione fotografica
incentrata sull’edilizia sociale in Vallonia alla fine degli anni ’70).
Articolato
in quattro atti introdotti dai nomi delle donne incontrate di volta in
volta da Michel (Gloria, Marguerite, Gabriella, Solange), Alleluia
gioca più sulle variazioni di registro che sull’esibizione di
un’estetica improntata alla compattezza stilistica (in questo senso le
differenze rispetto alla lussureggiante maestosità di Vinyan sono davvero enormi), dialogando sì con le atmosfere stranianti e surreali di Calvaire, ma soprattutto con le tonalità grottesche e sardoniche del cortometraggio del 1999 Quand on est amoureux, c'est merveilleux
- il cui titolo viene citato alla lettera nel secondo atto da
Marguerite, interpretata proprio da Édith Le Merdy, protagonista del
corto che è valso a Du Welz il grand prix della categoria al Festival di
Gérardmer e che ha segnato l’inizio della fortunata carriera del
direttore della fotografia Benoît Debie (notato nell’occasione da Gaspar
Noé). La coesione interna dei quattro movimenti narrativi è tuttavia
assicurata da una strategia che stabilisce un posizionamento forte dello
sguardo senza fissarlo in modo inalterabile: se nei primi tre segmenti
la titolarità delle soggettive è assegnata quasi esclusivamente a Gloria
(detto più chiaramente, il punto di vista che orienta il film è a tutti
gli effetti quello della donna innamorata e gelosa), l’ultimo atto
presenta invece un’alternanza tra lo sguardo di Gloria e quello di
Michel, veicolando anche attraverso lo sguardo l’incrinatura della loro
complicità.
Girato in ordine cronologico per potenziare l’immedesimazione degli interpreti nelle rispettive parti, Alleluia
non nasconde i collegamenti intertestuali che lo situano nel corposo
repertorio degli amanti criminali e dell’ossessione amorosa intrisa di
gelosia: se le frequenti emicranie di Michel derivano direttamente dal
più volte menzionato Profundo Carmesí, l’itinerario in coppia costellato di omicidi si riallaccia a una lunga tradizione cinematografica che va da La sanguinaria (1950, Joseph H. Lewis) a Killer in viaggio (2012, Ben Wheatley), passando per Gangster Story (1967, Arthur Penn) , La rabbia giovane (1973, Terrence Malick) e Natural Born Killers (1994, Oliver Stone); mentre l’amour fou permeato di gelosia ed esclusività riecheggia lontanamente Él (1953, Luis Buñuel) ed Ecco l'impero dei sensi
(1976, Nagisa Oshima). Ma la cinefilia di Fabrice Du Welz (che
peraltro, da settembre 2013, conduce Home Cinema, una trasmissione
dedicata al cinema nazionale su BeTV) non soffoca la progressione
drammatica della pellicola, dal momento che il cineasta belga si
concentra prevalentemente sulla direzione degli attori, spingendo le
interpretazioni a un’intensità mai raggiunta nei precedenti
lungometraggi (impressionante, per nitidezza e fisicità, la prova di
Lola Dueñas). E se è vero che talvolta Alleluia vive
di sprazzi e pezzi di bravura sensibilmente dissociati dal resto della
concatenazione filmica (la danza attorno al fuoco accompagnata da
cavernose sonorità elettroniche; la canzone di accorata diffidenza che
Gloria, prima di fare a pezzi un cadavere, intona sulla partitura
composta da Vincent Cahay), è altrettanto vero che questa esalazione di
disomogeneità segnala l’energia di un cinema in odore di trasformazione
interna: “Lo percepisco come un film di transizione. Al contempo un
ritorno al mio cinema ma anche un passaggio verso qualcos’altro” (FDW).
Grazie a Elisa Schiavi per il contributo.
Pubblicata su www.spietati.it
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