Membro di una potente famiglia criminale, Julian gestisce un club di
pugilato in Thailandia, come copertura per il traffico di droga. Quando
suo fratello maggiore Billy uccide brutalmente una prostituta, le
autorità si rivolgono ad un poliziotto in pensione, Chang, che opera
basandosi su un'idea di giustizia molto personale. La punizione per
Billy è la morte. Intanto – per recuperare il corpo del figlio - arriva a
Bangkok Crystal, madre di Julian e Billy e capo di una potente
organizzazione criminale. La donna, addolorata e furiosa, ha un unico
obiettivo: progettare e consumare una spietata vendetta contro coloro
che si sono macchiati del sangue di suo figlio. Chang è il primo della
lista... (dal pressbook).
Lettura sconsigliata a visione non avvenuta, causa incalcolabili
riferimenti alla trama, e controindicata in caso di intolleranza al
libero esercizio dell’analisi filmica, causa prodigiosi contorcimenti
interpretativi.
Probabilmente
e paradossalmente, il metodo più indicato per mettere in luce
l’irriducibilità di un film proteiforme e plastico come Only God Forgives
a schemi interpretativi rigidi ed esaustivi consiste proprio nel
sottoporlo a una lettura serrata, un’esegesi violenta che incida il
testo per sezioni progressive, facendo emergere, per opposizione,
l’inesauribilità delle domande di senso lanciate ininterrottamente allo
spettatore. Una sola visione, insomma, è sufficiente per cogliere
l’esortazione alla cooperazione interpretativa che permea i fotogrammi
di Solo Dio perdona, ma è solo grazie alla pluralità
delle visioni che la pellicola dispiega tutto il suo potenziale
d’interpellazione, il suo intossicante brulichio segnico.
“So it’s very much like a puzzle but there’s no answer, that’s the thing. There’s never a right combination” (NWR).
Sono almeno tre i piani di elaborazione discorsiva che s’intersecano e sovrappongono nel tessuto espressivo del film: il primo incentrato sulla dinamica narrativa di superficie, il secondo agganciato alle risonanze edipiche incapsulate nel registro intermedio, il terzo articolato attorno al conflitto incassato in profondità tra istanze psichiche frontalmente contrapposte. Vediamoli nel dettaglio.
“So it’s very much like a puzzle but there’s no answer, that’s the thing. There’s never a right combination” (NWR).
Sono almeno tre i piani di elaborazione discorsiva che s’intersecano e sovrappongono nel tessuto espressivo del film: il primo incentrato sulla dinamica narrativa di superficie, il secondo agganciato alle risonanze edipiche incapsulate nel registro intermedio, il terzo articolato attorno al conflitto incassato in profondità tra istanze psichiche frontalmente contrapposte. Vediamoli nel dettaglio.
PUNIZIONE
La
prima dimensione che incontriamo è quella puramente tramica: in preda a
un incontenibile impulso omicida, Billy (Tom Burke) fa scempio del
corpo di una prostituta minorenne, uccidendola barbaramente e rimanendo
incomprensibilmente sul luogo del delitto. L’arrivo di Chang (Vithaya
Pansringarm), ufficiale di polizia in pensione - lo statuto di ex
poliziotto s’inferisce dall’assenza di gradi e armi da fuoco - scatena
un primo stadio vendicativo: convocato il padre della ragazza
assassinata, l’anziano tutore dell’ordine autorizza l’inadempiente
genitore/protettore a farsi giustizia da solo, per poi tranciargli di
netto la mano destra come memento della sua irresponsabilità. Julian
(Ryan Gosling), fratello minore di Billy, rintraccia il padre mutilato
per interrogarlo e punirlo ma, venuto a conoscenza della verità dei
fatti, lo lascia andare senza ritorsioni. La comparsa della bellicosa
madre Crystal (Kristin Scott Thomas) cambia però le carte in tavola:
implacabilmente determinata a vendicare la morte dell’adorato
primogenito, rimprovera ferocemente Julian e organizza una furibonda
rappresaglia per cancellare i responsabili del delitto dalla faccia
della terra. Ma Chang, profondo conoscitore del territorio e maestro di
combattimenti, sfugge agli agguati, mette al tappeto Julian a mani nude e
trapassa Crystal con un affondo di katana alla gola.
Che
cosa ci dice questa particolareggiata descrizione dell’intreccio? Se
letta tra le righe, al di là dell’apparente riproposizione del logoro
canovaccio della vendetta, la dinamica narrativa di Solo Dio perdona
rivela uno spostamento verso l’alto/altro del motore punitivo. Detto
più chiaramente, ad attivare l’ingranaggio vendicativo non sono i
diretti interessati dal lutto familiare - il padre della prostituta
minorenne e Julian - come ci si potrebbe ragionevolmente attendere, ma
due figure che autorizzano e programmano a distanza l’azione ritorsiva:
Chang, istigando la furia del genitore imbelle e concedendogli mano
libera nella somministrazione della morte, e Crystal, pianificando prima
l’eliminazione degli uccisori di Billy e aizzando poi il figlio minore
contro l’anziano poliziotto. Tale dislocazione produce una serie di
ricadute sull’arrangiamento complessivo del film: la divaricazione del
compasso narrativo (la progressione drammatica non si esaurisce nel
meccanismo causa-effetto ma contempla gli snodi necessari alla
deliberazione e alla delega), il potenziamento della tensione statica
(la tendenza al caos si fa più palpabile nella scacchiera destrutturata
dei primi piani che nelle improvvise e falcianti sciabolate di violenza)
e, soprattutto, la creazione di una colorazione mentale che, complici i
cromatismi fluorescenti di Larry Smith (Fear X, Bronson)
e le sonorità telluriche di Cliff Martinez, conferisce alla tonalità
della rappresentazione un timbro inconfondibilmente surreale. Il teatro
della vendetta si tramuta in teatro psichico.
CASTRAZIONE
Allargate le maglie della rappresentazione, Only God Forgives
lascia dunque precipitare la materia narrativa a un piano soggiacente,
un livello discorsivo che col passare dei minuti conquista
prepotentemente la supremazia semantica. Si coagulano qui le
aggregazioni tematiche dell’attaccamento morboso alla madre, della
contiguità incestuosa, dell’uccisione del padre e della castrazione
simbolica operata dalla Legge. Edipo, in una temibile parola. Nel suo
poderoso Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione
(Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012), Massimo Recalcati illustra
esemplarmente il riordinamento strutturale dell’Edipo di Freud compiuto
dallo psicoanalista francese: le assonanze più o meno fortuite tra
questa tripartizione (Lacan scandisce l’Edipo in tre tempi distinti) e
il trattamento refniano della triangolazione edipica permettono, secondo
chi scrive, un confronto tutt’altro che sterile. I tre tempi dell’Edipo
lacaniano, osserva Recalcati, sono quelli della “perversione primaria”,
del “padre terribile” e della “trasmissione del desiderio” (corre
l’obbligo di dire che alcuni anni dopo Lacan approfondirà la questione,
spingendosi al di là dell’Edipo nel Seminario XVII, titolato Il rovescio della psicoanalisi).
Il
tempo della perversione primaria è quello che salda tra loro il figlio e
la madre: “Si tratta di una “tappa fallica primitiva” - specifica Lacan
- caratterizzata dall’illusione di fare corpo unico con la madre. […]
Nei Complessi familiari Lacan aveva descritto questo tempo come
il tempo di un accoppiamento, di una incorporazione reciproca,
totalizzante, come un’assimilazione cannibalica dell’Uno nell’Altro. La
perversione primaria è infatti costituita dalla negazione della
differenza e dall’immedesimazione reciproca” (p.175). Ebbene, il
rapporto ombelicale e diadico tra Julian e Crystal non evoca forse uno
scenario simile? Per buona parte del film (fino al corpo a corpo fra
Julian e Chang) tra madre e figlio si delinea una relazione vischiosa e
fusionale, impregnata di pulsioni incestuose e tensioni esclusive. Si
pensi al dialogo durante la cena tra Crystal e Mai (Rhatha Phongam),
presentata da Julian come sua compagna, in cui l’aggressività verbale
rappresenta chiaramente uno stratagemma materno, tacitamente avallato
dal figlio, per allontanare la giovane, terza incomoda se mai ve n’è
stata una. Si tratta insomma di un regime a tenuta stagna: ogni presenza
supplementare è percepita come una minaccia da respingere ostilmente.
Dominato
dalla figura del “padre terribile”, il secondo tempo pone “il padre
come simbolo della Legge dell’interdizione dell’incesto. […] La funzione
del padre è innanzitutto quella di introdurre una castrazione simbolica
che interrompa la fusionalità tra il bambino e la madre allontanandoli
l’uno dall’altro. Si tratta di un trauma benefico che, introducendo una
discontinuità salutare, rende possibile la strutturazione (…) non
incestuosa della forza della pulsione. La castrazione non è affatto una
evirazione, o la sua minaccia, ma la condizione strutturale per
consentire una soddisfazione pulsionale non distruttiva” (p.176). Chang,
inevitabilmente: il suo personaggio entra in scena assumendo su di sé i
connotati paterni (è lui, come abbiamo osservato, a convocare e
istigare la vendetta iniziale e a farsi garante dell’impunità del padre
della prostituta massacrata), mantenendoli e corroborandoli nel corso
del film (non soltanto con l’assunzione domestica della paternità, ma
anche suggerendo una certa compassione per il figlio dell’organizzatore
dell’imboscata ai suoi danni). L’arma personale di Chang è la katana,
spada che sfodera magicamente dalla schiena e con la quale, oltre ad
amputare arti, squartare toraci e trafiggere gole, perseguita
fantomaticamente Julian abitando i suoi luoghi allucinatori ancor prima
che i due s’incontrino effettivamente.
Si
tratta di una paternità putativa nei confronti di Julian che l’ex
ufficiale acquisisce gradualmente, trovando i suoi più stabili punti di
ancoraggio in due frangenti ben determinati. Il primo in negativo, con
la richiesta di protezione dalla vendetta di Chang apertamente espressa
dall’intimidita Crystal al figlio - richiesta che richiama
esplicitamente il parricidio consumatosi in passato, sovrapponendosi a
esso e riattivandone la memoria. Il secondo in positivo, con
l’appropriazione da parte di Julian della spada di Chang, la sua insegna
mutilante, e con lo sventramento del corpo della madre, la conseguente
penetrazione manuale configurandosi più come un gesto disperatamente
cadaverico che come un voluttuoso e pacificante ritorno nel ventre
materno. Del resto le mani di Julian, caricatesi eroticamente in
concomitanza con l’omicidio della giovane prostituta, costituiscono sì
le sue appendici libidinali, ma al tempo stesso oggettivano lo
sbarramento alla titolarità fallica: il godimento di una sessualità
piena è letteralmente ostruito, schermato dalla mancanza della
castrazione simbolica (si veda la sequenza in cui Julian avvicina la
mano al sesso di Mai attraversando una tenda di perline).
Legge
della castrazione che invece agirà nel prefinale, eminentemente
psichico, con l’amputazione effettuata da Chang delle appendici
libidinali di Julian. Assolutamente cruciale in questo passaggio la
modalità di rappresentazione adottata da Refn: contrariamente alle
mutilazioni/incisioni/perforazioni precedenti (raffigurate senza
sublimazioni stilizzanti), qui il taglio fisico coincide con uno stacco
sul nero. L’amputazione avviene nell’inconscio di Julian, lacerando la
perversione primaria con l’introduzione della dimensione
dell’impossibile/irrappresentabile (“è impossibile per il soggetto
accedere direttamente al godimento della Cosa materna”, p.177) e
generando traumaticamente la possibilità stessa del desiderio (“È solo
il trauma dell’impossibile che attiva la forza generativa del
desiderio”, ibidem). Il terzo tempo dell‘Edipo lacaniano, infine,
contempla la comparsa di un nuovo volto del padre: non più il severo e
implacabile esecutore del taglio simbolico, ma il testimone di un
accordo tra Legge e desiderio: “In questo tempo conclusivo dell’Edipo il
padre deve saper rendere possibile - sullo sfondo dell’impossibilità
che ha introdotto attraverso la Legge della castrazione - la
trasmissione del desiderio nella catena delle generazioni” (p.178).
Il
padre della proibizione e del trauma cede ora il passo al padre
“permissivo” e “donatore”, rivelando un volto praticamente opposto a
quello mostrato in precedenza. Questa nuova facies paterna,
concessiva e umanizzante, non può tuttavia sottrarsi alla presenza
fisica, all’incarnazione. Il suo statuto adesso non è più esclusivamente
simbolico e privativo, ma concreto e donativo: “nel terzo tempo
dell’Edipo, il padre non si limita a mostrare il volto umano della
Legge, ma deve anche saper incarnare il proprio desiderio, in modo tale
che la Legge non sia il luogo di una mortificazione del desiderio, ma il
suo supporto”, p.179). In questo senso il finale di Solo Dio perdona,
collocato inequivocabilmente nella fascia della narrazione reale, non
dà adito a dubbi: Chang entra nel privé in cui sono Julian e Mai
guardando quello che ormai è divenuto il figlio adottivo (mi si passi lo
stridente aggettivo) con espressione tutt’altro che ostile e
contrariata. Il suo volto non è più quello superegoico della Legge, ma
quello di un padre che può finalmente e bonariamente testimoniare la sua
approvazione. Un’alleanza tra Legge e desiderio che l’epilogo porta
sonoramente a compimento, comunicando all’esibizione canora di Chang,
diversamente dalle altre performance che punteggiano la pellicola, un
inedito e tangibile senso di luminosità.
CONFLITTO
Spingendoci
ancora più a fondo nel tessuto filmico - e più avanti nella
spregiudicatezza dell’analisi - incontriamo un ultimo livello di
elaborazione della materia narrativa. A questa quota di profondità, non
si tratta più di considerare i personaggi principali come attanti
impegnati nell’applicazione del protocollo edipico, ma, più
precisamente, di scandagliare il fondale intrapsichico che li unifica.
Fuor di metafora e brutalmente, si tratta di considerare gli stessi
personaggi come personificazioni di istanze psichiche appartenenti a un
solo individuo, che in tal modo diviene oggetto di scomposizione
interna: le relazioni tra le istanze freudiane della personalità (Io,
Es, Super-io) si concretizzano in dramatis personae, maschere del dramma. L’identificazione dell’Io in Only God Forgives
risulta pressoché automatica: Julian, costruttivo e razionale (gestisce
la palestra di muay thai, ascolta le ragioni del padre mutilato da
Chang e comprende la complessità della situazione) è inequivocabilmente
il perno attorno al quale ruotano le altre istanze. Altrettanto pacifico
il riconoscimento dell’Es: Billy, incontenibile e trasgressivo,
rappresenta la ricerca del piacere sfrenato e illimitato, un godimento
che corteggia la sofferenza e la morte (in pochi minuti di presenza
filmica aggredisce chiunque gli capiti a tiro e massacra immotivatamente
una minorenne).
Il
legame intimo tra i due non interessa soltanto la consanguineità ma, in
questa nervatura profonda, investe sensibilmente la struttura
sintattica del film, scompaginandola e riaggregandola in base a nessi
associativi squisitamente mentali. Prima di salire in camera con la
prostituta, Billy intrattiene con lei un colloquio di sguardi: l’ultima
inquadratura del dialogo visivo consiste in un piano ravvicinato dal
basso verso l’alto di Billy che guarda davanti a sé. La durata
dell’inquadratura è così lunga da preparare con forza il controcampo
corrispondente (la soggettiva dall’alto verso il basso di Billy sulla
prostituta). Ma, con un raccordo psichicamente dislocante, il film
giustappone a questa immagine la soggettiva di Julian che, da
un’angolazione coerente con l’inquadratura evocata, osserva le sue mani
finendo per stringere i pugni. Se da una parte questo raccordo
impossibile elide visivamente il massacro della giovane (i pugni di
Julian che si chiudono sostituiscono metaforicamente il delitto),
dall’altra trasferisce l’energia libidica di Billy (che da questo
momento è ridotto alla condizione di inermità) sulle mani del fratello
minore. L’eliminazione di Billy comporta un’altra macroscopica ricaduta
sul versante estetico della pellicola: soppresso fisicamente dal
racconto come istanza individuata, l’Es invade l’intero film,
erotizzando ogni fotogramma e imprimendo una torsione feticistica alla
rappresentazione (“Pure fetish”, secondo la sintetica definizione di
Refn).
La sorgente di tensioni di Solo Dio perdona,
il suo nucleo conflittuale, risiede tuttavia nella rivalità tra Chang e
Crystal (lo abbiamo già osservato al primo livello). Quali istanze
psichiche incarnerebbero queste due figure inesorabilmente destinate a
scontrarsi? È questionabile opinione di chi scrive che esse
rappresentino due modelli superegoici incompatibili e rivaleggianti.
Chang di stampo tradizionale (severità punitiva, monumentalità totemica,
imperatività morale), Crystal d’impronta postmoderna (assenza di
scrupoli, avidità capricciosa, amoralità sconfinata). Detto altrimenti,
se il Super-io raffigurato da Chang si riallaccia a quello freudiano,
erede dell’imperativo categorico di Kant, quello incarnato da Crystal si
collega al Super-io lacaniano di dichiarata matrice sadiana (il
godimento senza Legge, il puro arbitrio incurante dei limiti). Nel campo
di tensioni stabilito dal film, non è difatti rinvenibile una polarità
oppositiva più forte e inconciliabile di quella che contrappone questi
due personaggi. Si pensi agli spazi occupati dall’una e dall’altro: la
prima privilegia i luoghi sopraelevati e la verticalità (la suite e la
terrazza dell’hotel, la stanza di Julian che sovrasta la palestra), il
secondo si muove prevalentemente nella dimensione sottostante e
orizzontale (strade, chioschi, depositi).
Ma mentre Chang può invadere lo spazio della rivale senza smarrire la forza d’impatto sull’avversaria (il redde rationem
nella suite), Crystal non gode affatto della stessa libertà di
movimento. La sua più plateale discesa ai piani bassi, al termine del
combattimento tra il figlio e l’ex ufficiale, coincide con una
precipitosa ritirata di fronte alla potenza del Super-io rivale e, di
conseguenza, con la perdita di autorità agli occhi dell’Io/Julian (il
dialogo nei locali della palestra immediatamente successivo al
combattimento sancisce il divorzio tra le due istanze psichiche: “Non ti
ho mai capito e mai ti capirò”, confessa la madre al figlio). Ancora
più marcatamente di quanto osservato in precedenza tra Billy e Julian, è
la sintassi filmica a disintegrarsi e riplasmarsi psichicamente in
virtù della conflittualità tra Chang e Crystal. Delle ripetute
deformazioni sintattiche ospitate dalla pellicola in tal senso, è
sufficiente menzionare la prima: a ridosso dell’agguato teso
all’ufficiale in pensione e compagnia poliziesca, si materializza un
faccia a faccia impossibile tra i due, come se, presentendo l’imminenza
dell’imboscata, Chang fronteggiasse idealmente Crystal, la mandante, la
vera fonte dell’antagonismo, la sua controparte mentale. In questo
surreale campo/controcampo, prefigurazione di un duello all’ultimo
sangue per la supremazia sull’Io, Only God Forgives raggiunge il punto culminante del conflitto intrapsichico.
Precisato che chiunque sia giunto alla fine di questa recensione monstre
si è guadagnato l’ammirazione incondizionata di chi scrive - che,
molto più assennatamente, avrebbe interrotto la lettura alla quarta riga
- occorre infine rinnegarne perentoriamente il potenziale esplicativo.
Fermarsi comodamente al primo livello, proseguire spavaldamente la
discesa al secondo, immergersi audacemente nel terzo o saltare
arbitrariamente dall’uno all’altro è del tutto irrilevante. La sostanza
non cambia, il film di Refn è un capo d’opera che nessun tentativo di
spiegazione riuscirà mai a disciplinare. E affermarlo a chiare lettere
dopo la fatica impiegata per portare a termine questa debordante
trattazione è l’unico, autentico motivo di vanto del vostro umile
recensore. Liberi di diffidare.
Pubblicata su www.spietati.it.
Spettacolosa e coinvolgente! La migliore da quando ti leggo.
RispondiEliminaCosa ti ha portato a prenderti la briga di elaborare codesta Lectio Magistralis proprio su questo film? Ispirazione o repulsione?
Sicuramente potrebbe essere il dissuadente definitivo per chi sul film nutre qualche dubbietto sia stilistico che attoriale. Bisogna che cerchi di farla avere a Refn, dubito fortemente che si sia accorto di tutta la roba che stava mettendoci dentro... ;P
Grazie infinite. Letture recenti e ispirazione.
RispondiEliminaScommentto che se Refn leggesse queste farneticazioni mi scatenerebbe contro Chang, forse è meglio che ne resti all'oscuro :)