Pubblicata su www.spietati.it.
venerdì 24 maggio 2013
IL CECCHINO
mercoledì 15 maggio 2013
LE STREGHE DI SALEM
Tra
le rimostranze più deprecabili che sia dato muovere in una recensione
cinematografica vi è senz’altro la protesta indirizzata al doppiaggio,
perciò mi affretto a farla per spazzare via ogni equivoco: il tono
caricaturale e vagamente demente che, giusto a titolo esemplificativo,
affligge il sabba iniziale di The Lords of Salem
semplicemente non sussiste nella versione originale. Certo, le voci di
Margaret Morgan (Meg Foster, una delle tante icone attoriali che
costellano il film) e della sua stregonesca congrega non suonano
propriamente brechtiane, eppure l’enfasi formulaica che le incanaglisce
non sovrasta di un’ottava la tonalità grottesca della messa in scena, ma
si accorda sardonicamente alla sua gradazione sulfurea e profanatoria.
Non si tratta qui di rigettare la pratica del doppiaggio in quanto tale -
abolizione che, peraltro e a chi scrive, apparirebbe come una
liberazione - ma, più circostanziatamente, di rimarcare che per una
pellicola come questa, veleggiante a ridosso dello smash or trash, stravolgere timbro, dizione e intonazione delle voci significa compromettere irreparabilmente l’assetto complessivo del film.
Alla
creazione di questa eccedenza cinematografica contribuisce
l’orchestrazione luministica del direttore della fotografia Brandon
Trost (già al fianco di Zombie in Halloween II), che, applicando idealmente il precetto di visual relativity
enunciato da Gordon Willis, concepisce una partitura figurativa
iridescente e dissonante. La prima parte del film (lunedì e martedì),
quasi esclusivamente immersa nell’oscurità e costretta in interni,
esaspera i contrasti tra le zone non illuminate e le incandescenti
sorgenti luminose che spesso proiettano aloni e riflessi sull’obiettivo
della camera, mentre la seconda (mercoledì) si concede tenui aperture
che virano verso morbidezze cromatiche autunnali. Improntata a un
crescendo allucinatorio, la terza parte (giovedì e venerdì) radicalizza
da un lato l’ossessiva cupezza degli spazi chiusi e dall’altra ospita
schegge incubiche ed espansioni grandiose che preparano la deflagrazione
visionaria dell’ultima sezione (sabato), squarciata da luminescenze al
calor bianco, liquefazioni iconoclastiche e fulgori fiammeggianti.
L’epilogo angeriano, di un radiosità gloriosamente accecante, incorona
con lapidaria, imperiosa prepotenza il fasto di una montagna sacra fatta
di carne, seta e Velvet Underground: All Tomorrow’s Parties.
Pubblicata su www.spietati.it
venerdì 3 maggio 2013
INASSENZA
Conversazione con Domenico De Orsi
La domanda preliminare che devo porti riguarda la visibilità del
tuo cortometraggio. In quali manifestazioni è stato presentato e,
soprattutto, i nostri lettori potranno recuperarlo in qualche modo?
Inassenza è stato presentato in anteprima al Festival Arcipelago, quest'anno ospite del Bari International Film Festival.
Un'anteprima di cui sono particolarmente orgoglioso perché nei suoi vent’anni di vita la selezione curata da Stefano Martina ha sempre dimostrato la capacità d’intercettare alcuni fra gli sguardi più autonomi della produzione internazionale di breve durata. Ad aprile siamo stati in concorso al Festival del Cinema Europeo di Lecce e adesso attendiamo i risultati delle prossime selezioni. Forse anche a causa della sua durata, quasi 30 minuti, Inassenza risulta un oggetto di difficile collocazione. Fra qualche mese, quando si sarà esaurita la spinta dei festival, inizieremo a pensare a come renderlo visibile ai più. Naturalmente il web è lo scenario più probabile. Ma per adesso restiamo una visione da festival.
Un'anteprima di cui sono particolarmente orgoglioso perché nei suoi vent’anni di vita la selezione curata da Stefano Martina ha sempre dimostrato la capacità d’intercettare alcuni fra gli sguardi più autonomi della produzione internazionale di breve durata. Ad aprile siamo stati in concorso al Festival del Cinema Europeo di Lecce e adesso attendiamo i risultati delle prossime selezioni. Forse anche a causa della sua durata, quasi 30 minuti, Inassenza risulta un oggetto di difficile collocazione. Fra qualche mese, quando si sarà esaurita la spinta dei festival, inizieremo a pensare a come renderlo visibile ai più. Naturalmente il web è lo scenario più probabile. Ma per adesso restiamo una visione da festival.
Corre l’obbligo di chiederti qualcosa sulla vicenda produttiva di Inassenza: come nasce e si sviluppa il desiderio di girare questo corto? Quali difficoltà hai incontrato nel realizzarlo?
Mi è difficile palare di difficoltà produttive. Per certi versi ho assistito a un piccolo miracolo, fatto di incontri, di talento e di intelligenza. Soprattutto di ascolto. Quando si ha la possibilità di riempire un furgone di attrezzature cinematografiche, viveri, stoviglie, scenografie e si parte per Londra attraversando in due giorni tutta Europa, insieme al direttore della fotografia e all’operatore, le difficoltà produttive sono presto superate dalla vita che eccede il set.
Il film è stato prodotto grazie a un contributo della Regione Puglia e al sostegno di soggetti privati. Per la distribuzione nei festival abbiamo realizzato una campagna di crowdfunding di discreto successo.
Sergio Grillo, direttore della fotografia e coproduttore di Inassenza, ha radunato intorno a sé una piccola squadra di talentuosi giovani pugliesi, in grado di competere in quanto a maestria e inventiva con i presunti e presuntuosi professionisti della capitale.
Sotto il profilo tecnico il tuo lavoro non presenta i limiti che
si riscontrano abitualmente nelle produzioni indipendenti: che tipo di
equipaggiamento hai utilizzato?
Come molte troupe indipendenti abbiamo girato con una Canon 5D. Avevo
però imposto un piccolo “dogma”: utilizzare un solo obiettivo, un 100mm
macro. Una sfida raccolta con entusiasmo e preoccupazione dal direttore
della fotografia e che rispondeva alla duplice esigenza di contenere il
budget e di raggiungere una dimensione fotografica particolarmente
incisa e materica, nel rispetto dell'impronta fotografica tenue, dai
contrasti accennati, di Sergio Grillo.
Il fatto che il film non presenti molti dei limiti che si riscontrano nelle produzioni a basso costo è probabilmente legato all’approccio “analogico” del nostro lavoro. Meditato, studiato, attento. La cura in post produzione, da parte del graphic designer Efisio "Maxette" Scanu, nel correggere i consueti difetti di un fotogramma compresso come quello della 5D, è stata ai limiti della maniacalità.
Il fatto che il film non presenti molti dei limiti che si riscontrano nelle produzioni a basso costo è probabilmente legato all’approccio “analogico” del nostro lavoro. Meditato, studiato, attento. La cura in post produzione, da parte del graphic designer Efisio "Maxette" Scanu, nel correggere i consueti difetti di un fotogramma compresso come quello della 5D, è stata ai limiti della maniacalità.
Nel tuo corto colpisce immediatamente l’ampiezza del compasso
visivo. Puoi parlarci dei riferimenti cinematografici - e non solo - che
hanno in qualche modo contribuito a delineare il tuo sguardo?
Mentre facevo dei sopralluoghi mi ritrovai coi piedi affondati del
fango per almeno dieci centimetri. Pensavo che il cinema io volevo farlo
coi piedi.
Naturalmente questo evocava in me lo spettro di Herzog e del suo cinema canagliesco. Anche se Inassenza è lontanissimo dall’universo del regista bavarese, l’idea che fare un film sia in qualche modo un atto criminale, ancorché inutile, mi ha sempre animato.
Antonioni è forse il regista sul quale ho meditato maggiormente, avendogli dedicato la mia tesi di laurea. Al pensiero fenomenologico devo la suggestione che solo la descrizione di una superficie sia possibile. Che la descrizione si possa spingere in profondità quanto vuole ma rimane per natura esclusa da quella profondità cava e misteriosa che è il reale.
Poi ci sono i maestri dell’est, vicino e lontano, Béla Tarr e Tsai Ming-liang, Wong Kar-wai e Kieslowski. Ma sono essenzialmente un montatore e penso a Kim Arcalli e all’irriverenza coi cui faceva a pezzi sontuosi piani sequenza, per l'insaziabile voglia di raccontare altre storie dentro una stessa storia.
Naturalmente questo evocava in me lo spettro di Herzog e del suo cinema canagliesco. Anche se Inassenza è lontanissimo dall’universo del regista bavarese, l’idea che fare un film sia in qualche modo un atto criminale, ancorché inutile, mi ha sempre animato.
Antonioni è forse il regista sul quale ho meditato maggiormente, avendogli dedicato la mia tesi di laurea. Al pensiero fenomenologico devo la suggestione che solo la descrizione di una superficie sia possibile. Che la descrizione si possa spingere in profondità quanto vuole ma rimane per natura esclusa da quella profondità cava e misteriosa che è il reale.
Poi ci sono i maestri dell’est, vicino e lontano, Béla Tarr e Tsai Ming-liang, Wong Kar-wai e Kieslowski. Ma sono essenzialmente un montatore e penso a Kim Arcalli e all’irriverenza coi cui faceva a pezzi sontuosi piani sequenza, per l'insaziabile voglia di raccontare altre storie dentro una stessa storia.
Pubblicato su www.spietati.it.
Iscriviti a:
Post (Atom)