"Clara è un critico musicale e vive in un piccolo palazzo degli anni
Quaranta chiamato "Aquarius", che si affaccia sullo splendido lungomare
di Recife. Una compagnia immobiliare ha già acquistato tutti gli
appartamenti dell'edificio per farne un grattacielo di lusso, ma Clara è
decisa a non cedere la casa a cui è legata dai ricordi di una vita.
Dopo i primi approcci amichevoli, gli speculatori ingaggiano una vera e
propria guerra fredda con la donna, in un crescendo di violenza
psicologica: abituata da sempre a combattere, Clara non ha però
intenzione di arrendersi, neanche davanti all'ultima, sconvolgente
minaccia" (dal pressbook).
Fortemente ostacolato e al contempo sopravvalutato per motivi di carattere politico (non soltanto per la plateale protesta cannense contro la destituzione di Dilma Rousseff, ma anche per la presenza nel film di tematiche politicamente connotate), Aquarius
rappresenta, al di là di questi aspetti concomitanti, il lavoro più
emblematico di Kleber Mendonça Filho. Regista con burrascosi trascorsi
da critico, Mendonça Filho (classe 1968) ha concepito nel corso del
tempo un universo cinematografico che, frequentando varie forme e
formati audiovisivi (VHS, Betacam,DV, HD, 35mm) senza stabilire nette
divisioni tra loro, ruota immancabilmente attorno alla città brasiliana
di Recife. Un microcosmo deliberatamente ingabbiato che, come recita il
titolo del primo cortometraggio che lo ha reso voce di rilievo nel
panorama brasiliano (Enjaulado,
1997), gravita intorno a ossessioni ricorrenti: l'insicurezza intrisa
di paranoia, la diffusione del terrore fin dall'infanzia (A Menina do Algodão, 2003), il regime mutilante delle prescrizioni domestiche (Vinil Verde, 2004), la repressione sessuale (Eletrodoméstica, 2005), le sconcertanti mutazioni ambientali (Recife Frio, 2009), la mania del controllo fomentata dalle disuguaglianze sociali (O Som ao Redor, 2012) e le surreali aberrazioni urbanistiche dettate dalla virulenza delle logiche economiche (A Copa do Mundo no Recife, 2015).
I miei film contengono degli elementi ricorrenti, dei motivi che
circolano. Ma a un certo momento ho avuto voglia di uscire da casa mia
dove sono stati girati tutti i miei primi film, ivi compreso Vinil Verde che oggi è un classico del cortometraggio brasiliano. Filmare nella strada (Kleber Mendonça Filho).

Avevo un tavolo di montaggio VHS a casa mia, con un monitor in
bianco e nero. Ho realizzato numerosi video a piccolo budget. Uno di
questi tratta della demolizione di una casa: Paz a Esta Casa.
Il film è del 1994 e dura un minuto. Conoscevo la famiglia che viveva
lì. Il film realizzava una predizione oscura su ciò che poteva succedere
a questa casa. La famiglia era assai contrariata. Ma 23 anni più tardi
la mia oscura predizione si è avverata. È allora che ho avuto l'idea di Aquarius.
"Doña
Clara c'est moi" sembra dunque essere il motto che attraversa in
filigrana l'intero film: intervistata da due giovani giornaliste, Clara
ostenta nei confronti dei supporti di registrazione e riproduzione
musicale (vinili, cassette, MP3, streaming) la stessa apertura e la
stessa disinvoltura che hanno contraddistinto la produzione audiovisiva
di Mendonça Filho negli anni '90 ("Ho utilizzato più o meno tutti i
formati video esistenti negli anni '90: Betacam, Super VFIS, VHS, Super
8, 8 mm video, U-matic"). Secondo lungometraggio cinematografico del
regista di Recife dopo O Som ao Redor (Neighboring Sounds, 2012), Aquarius
è del resto un film in cui la rappresentazione di sé attraverso segni
tangibili e visibili costituisce inequivocabilmente l'elemento dinamico
della vicenda: i dischi, i libri, le fotografie e i mobili che
costellano l'abitazione di Clara non sono soltanto oggetti di arredo
domestico, ma contenitori di storie, "messaggi in bottiglia" (come
illustra Clara alla confusa intervistatrice, riferendosi all'album Double Fantasy
comprato in un negozio di dischi usati a Porto Alegre). Questi "oggetti
speciali" (altra definizione di Clara) sono custodie di memoria,
scrigni che racchiudono il passato personale e familiare: si pensi al
mobile della settantenne zia Lucia (Thaia Perez), vera e propria
macchina del tempo che catapulta il film dal 1980 del prologo ai momenti
in cui la stessa Lucia, usandolo come supporto erotico, faceva l'amore
col suo amante decenni prima. Ovviamente questo mobile, ormai divenuto
emblema di una femminilità attiva e indipendente in virtù delle
connotazioni acquisite, non potrà mancare nella casa di Clara.
Inizialmente volevo filmare il caos urbano di Recife: prolungare O Som ao Redor,
ma stando meno nell'osservazione e più nell'azione. Cosa succede quando
una cosa, benché molto bella, è giudicata inadeguata e superata in una
società? […] Succede la stessa cosa sul piano del paesaggio urbano in Aquarius.
Verso la fine del film si vede in campo lungo questa donna molto
sottile che torna dal droghiere tra edifici immensi. Sembra non avere
niente a che fare con la strada, così inospitale per i pedoni.

Questo finale opera a più livelli. Può sembrare ottimista o
totalmente pessimista. Ma i primi piani finali sono molto inquietanti,
lo so bene… Con delle termiti tutti i documenti della vostra vita
spariscono. Distruggono tutti i documenti di questa famiglia.

Le dichiarazioni di Kleber Mendonça Filho contenute nella recensione
sono ricavate e tradotte dall'intervista rilasciata a Élise Domenach
pubblicata su "Positif" col titolo Se sentir proche d'un film, c’est une chose très belle (n.668, ottobre 2016, pp. 25-29).
Ringrazio Luca Pacilio per la segnalazione dell'interessante intervista.
Già pubblicata su www.spietati.it.
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