"One More Time With Feeling" documenta la registrazione del sedicesimo album in studio di Nick Cave & the Bad Seeds (Skeleton Tree), affrontando le ripercussioni intime della morte di Arthur, il figlio quindicenne di Nick Cave.
Presentato Fuori Concorso al Festival di Venezia 2016 e uscito nelle sale italiane per due soli giorni (27 e 28 settembre), One More Time with Feeling avrà una nuova distribuzione nei cinema a partire dal primo dicembre.
I - La sostituzione della campagna promozionale

È
stato Nick Cave a chiedere esplicitamente ad Andrew Dominik di
realizzare un film che lo esentasse in qualche misura dall'esposizione
pubblica e funzionasse come una sorta di un live show cinematografico,
dispensandolo dall'incombenza della promozione del suo ultimo disco
Skeleton Tree (ecco perché Cave non era a Venezia ed ecco perché i video del nuovo album sono veri e propri estratti del film). Insomma,
One More Time with Feeling
è a tutti gli effetti un film sostitutivo, un lavoro che sta per
qualcos'altro: gli incontri con la stampa, la presentazione del disco, i
concerti in giro per il mondo. Per il momento c'è il film al loro posto
e già questa sostituzione dovrebbe farci drizzare le antenne: anziché
qualcosa che avviene nella realtà e nel corso del tempo, abbiamo un
sostituto cinematografico che condensa e rimpiazza tournée e campagna
promozionale. I motivi per i quali Cave ha deciso di girare il film
rivolgendosi proprio a Dominik sono numerosi e non starò certo a
elencarli (basti menzionare la lunga amicizia tra i due, complice
involontaria
Deanna
Bond, ex fidanzata di Cave e attuale compagna del regista). Ma tra
questi almeno uno non può essere omesso, poiché, seppur universalmente
noto, costituisce l'ostacolo inaggirabile della questione: la morte di
Arthur, figlio quindicenne dell'artista australiano e fratello gemello
di Earl, che compare a più riprese nel film. Così Dominik a proposito
della dolorosa congiuntura attraversata da Cave: "When he realized he
had to promote the record, the thought made him feel sick: talking to
journalists, discussing Arthur. He didn't feel he could do it with
strangers. The initial instinct for Nick was to protect himself, so he
didn't have to answer questions. It becomes the only subject that there
is, all the film is dealing with is Nick's grief feelings".

Come
possiamo facilmente indovinare, alla funzione inizialmente alternativa
alla promozione e all'esibizione pubblica si accompagna, complicandola,
una funzione fortemente elaborativa e contenitiva. Sta di fatto che, a
una prima occhiata, il dato più appariscente del film sembra consistere
nella stratificazione, nell'accavallarsi e intrecciarsi di molteplici
livelli compositivi: il bianco e nero quasi integrale, le esigenze di
calibratura del 3D, i dialoghi con Warren Ellis, Cave, la moglie Susie e
il figlio Earl, la messa a punto dell'arrangiamento per le incisioni,
le esecuzioni musicali in studio, le liriche pronunciate in voce over da
Nick, le riflessioni dello stesso Cave su frammenti del girato, le
aperture ambientali su Brighton, Londra e così via. Si crea una
gerarchia rigida tra i vari strati? Almeno in parte sì, impossibile non
riconoscerlo, giacché la funzione performativo-promozionale è
salvaguardata e solidamente eseguita: i brani di
Skeleton Tree ci sono tutti,
video
inclusi (non dimentichiamo che Cave, come sottolineato da Dominik, ha
finanziato il progetto personalmente: "Nick paid for the film out of his
own pocket, and I would like for him to recoup his investment. It's
basically to sell the record, that's the idea of the film").
Ciononostante, espletata la commissione promozionale, la stratificazione
si svincola dalla gerarchizzazione dei livelli e genera una fertile
confusione inclusiva che possiede due caratteristiche fondamentali: da
una parte oggettiva cinematograficamente la necessità di prevenire
l'effetto di spettacolarizzazione del dolore (la minaccia onnipresente
del "grief porn") e, dall'altra, inscrive nel tessuto compositivo il
processo ancora incompiuto dell'elaborazione del lutto, processo che,
com'è noto, non può fare a meno dei tre requisiti del tempo, del dolore e
della memoria (Arthur è morto nel luglio 2015 e i 10 giorni di riprese
del film si collocano nel febbraio 2016, poco più di 6 mesi dopo il
drammatico evento, ai quali si sono aggiunti successivamente alcuni
frammenti girati in aprile).
II - Il mantello protettivo del 3D

Includere
la confusione nel film diventa quindi doppiamente necessario:
scongiurare l'oscenità del grief porn da un lato e, dall'altro, mostrare
l'elaborazione del lutto in corso (il titolo
One More Time with Feeling
mi pare suggerire proprio questa idea di processo in cui il tempo
dell'elaborazione non è ancora terminato, ma ha bisogno di un
supplemento, un ulteriore lasso per compiersi a sufficienza). Non è del
resto un mistero che Dominik abbia concesso a Cave e alla moglie Susie
la facoltà di scartare dal montaggio finale le parti sgradite (un
accordo dello stesso tipo lo vediamo stabilire all'interno del film con
Earl, durante il primo incontro familiare nello studio di
registrazione). Oltre a queste due caratteristiche fondamentali, la
confusione inclusiva produce un altro effetto: la costruzione di un
luogo astratto - o un non-luogo se preferiamo - la cui esistenza è
squisitamente cinematografica (è vero che le riprese si sono svolte tra
Londra e Brighton, ma i continui accavallamenti audiovisivi impediscono
alla dimensione geografica di ancorare stabilmente le sequenze). Questo
luogo astratto e squisitamente filmico ci avvicina al mantello affettivo
di
One More Time with Feeling, un mantello
rappresentato sia da Warren Ellis che dalla tecnica di ripresa in 3D.
Storico collaboratore di Cave e autentico collante dell'equilibrio
collettivo, Ellis è non solo la figura che tiene insieme i pezzi (Cave
lo dice a chiare lettere in una delle riflessioni in voice over), ma è
anche colui al quale gli scontenti Nick e Susie hanno concesso l'ultima
parola sul destino del film (Andrew Dominik: "Susie didn't like anything
with her and Nick didn't like anything with him, but they liked each
other. And so what they did was show it to Warren and he basically
decided the fate of the film. Fortunately Warren liked it all, so it
just got left alone").

Ebbene,
la ripresa/visione in rilievo, fortemente suggerita per un film che
nella dimensione spaziale ha la sua flagranza, possiede la stessa
proprietà contenitiva e protettiva attribuita da Cave a Ellis: tiene
insieme i pezzi in un abbraccio che non soffoca in una stretta
apprensiva e che, pur assicurando coesione strutturale, non costringe le
diversità in un ordine prestabilito. E, soprattutto, protegge
l'intimità dei soggetti senza comprometterne la singolarità, anche
quando questa coincide con una vulnerabilità prossima al disfacimento.
Come precisato da Dominik, l’ambizione del film consiste esattamente nel
prendersi cura della fragilità di Cave (e della sua famiglia, occorre
aggiungere), sbozzando un'embrionale struttura narrativa in cui i
sentimenti informi, confusi e dolorosi possano depositarsi in cerca di
un senso e di una forma possibili: "But it's a guy trying to make a
record, and there's all this noise around him and inside him is an inner
voice that is constantly struggling and trying to deal with his
feelings. It's about giving them a narrative structure that can help him
make some sense of something that doesn't make a lot of sense. That's
the whole ambition of the film. It's supposed to portray the confusion
and the beauty". Avvolgere la confusione nel mantello 3D, insomma,
significa circoscrivere un lavorio interiore che può essere
rappresentato solo in chiave spaziale e in tonalità minore (il bianco e
nero scheletrico, la struttura narrativa minimale coincidente col film
stesso come contenitore): del resto la dimensione temporale e
grandiosamente trasformativa era già stata ampiamente celebrata in
20,000 Days on Earth,
pellicola in cui la magniloquenza espressiva assecondava la tendenza
all’ostentazione megalomanica di Cave e in cui la trasformazione
performativa aveva i tratti quasi mistici dell'ascensione raggiante
(l'esecuzione live di
Jubilee Street
sopra ogni altra cosa: "I'm transforming / I'm vibrating / I'm glowing /
I'm flying / Look at me now / I'm flying / Look at me now").
III - Il nucleo vuoto del trauma

Così, se
20,000 Days on Earth era tanto lineare quanto pieno di Cave,
One More Time with Feeling
va nella direzione opposta, accumulando frammenti caotici e svuotando.
Qui è la qualità spaziale (della musica e non solo) a prevalere, è
l'accumulo di sequenze costruite con pezzi di cose concepite in momenti
differenti a strutturare il film. E, soprattutto, è la sensazione
letteralmente indicibile del vuoto a imporsi come nucleo doloroso che il
mantello tridimensionale, in questa rappresentazione simile alla
stratificazione terrestre, abbraccia e custodisce premurosamente.
All'interno di questo spesso involucro protettivo che cosa si trova?
Nient'altro che lo spaventoso vuoto del trauma, un "anello" o "recinto"
(parole dello stesso Cave) che, aprendo una voragine nel reale, non
offre più una versione grandiosamente narcisistica della trasformazione,
ma obbliga, semplicemente e inevitabilmente, al cambiamento. Cave lo
dice molto bene nel
film:
"La maggior parte di noi non vuole cambiare veramente. In effetti,
perché dovremmo? Ciò che inseguiamo è una sorta di variazione dal
modello originale. Proviamo sempre ad essere noi stessi - versioni
migliori di noi stessi. O almeno così ci auguriamo. Ma cosa succede
quando un evento è così catastrofico da cambiarci completamente? Ci
trasformiamo in persone sconosciute. Così quando ci guardiamo allo
specchio, riconosciamo la persona che eravamo. Ma ora dentro la nostra
pelle vive una persona diversa". È questo buco nel reale a costituire
l'autentico nucleo irrappresentabile, vuoto e gravitazionale del film,
un nucleo traumatico che il film tenta di costeggiare e circoscrivere
senza fargli violenza, senza risolverlo finzionalmente, senza
incapsularlo in una struttura rigida e simbolicamente consolatoria.
Ancora Dominik: "The real feeling is not one of sadness or one of anger,
it's this incredible feeling of emptiness. He talks about it as a
trauma, and that's really what it is. He has not been able to create
some story around it that contains it or encapsulates it in the same way
that you can when you're talking about a song or some other experience.
I hope what the film manages to do is to express that confusion. That
it isn't resolved".

In altri termini,
One More Time with Feeling
non è un surrogato narcisisticamente immaginario della perdita (il
vieto cliché del dolore che alimenta la creatività) né una protesi
simbolica incaricata di colmare il buco reale provvedendo un supplemento
narrativo tornito e rassicurante (Dominik: "I don't think perfection is
your friend, I think perfection is the enemy"), ma, molto più
semplicemente, una testimonianza spaziale (essere lì, in quella
situazione, e inquadrare: "We worked framing, which is just pointing the
camera", dice Dominik nella conferenza stampa veneziana) che si guarda
bene dal proporre un arrangiamento terapeutico o una conformazione
normativa alla materia rappresentata. Se questa rispettosa inclusione
rifletta in qualche misura l'istintiva soggezione di Dominik per Cave
non è dato sapere né rileva minimamente in questa sede, quello che è
certo, invece, è che tempo, dolore e memoria sono lasciati integralmente
all'interiorità del musicista australiano, il film attenendosi a
testimoniare un processo in atto. Ed è proprio questa intimità
avvolgente del 3D che dà al film un valore intensamente topologico, un
valore in cui lo spazio acquisisce vivide connotazioni psichiche: i 35'
di performance musicali riverberano nella cassa di risonanza
tridimensionale al cui centro, avviluppato dall'accidentata
improvvisazione delle riprese, risiede il vuoto irrappresentabile del
trauma, preservato nella sua radicale indicibilità.
One More Time with Feeling
non ha dunque la pretesa di riannodare forzosamente reale, immaginario e
simbolico di Cave in un'illusione di guarigione post-traumatica (qui il
dopo non esiste, c'è solo il presente sfrangiato, aperto e
intrinsecamente incompiuto), ma intende, al contrario, preservare il
processo in corso con una distanza intima e benevolente (il bianco e
nero contribuisce a questo distanziamento discreto, ovvero non invasivo e
insieme apprezzabile). Non si tratta, ovviamente, di neutralità dello
sguardo:
durata delle inquadrature e movimenti di camera
(dolly felpati, carrellate circolari, avvicinamenti stetoscopici per
amplificare la pulsazione spaziale della musica) esprimono con
cristallina e permanente chiarezza la sollecitudine della
rappresentazione, un impasto audiovisivo di complementarità e
coinvolgimento. E, inversamente, non si tratta neanche di eccessivo
pudore o ritrosia rinunciataria. Dal momento che il film deriva per
forza di cose dall'intrusione in uno spazio intimo, tanto sul versante
del processo creativo quanto su quello più strettamente personale
(Dominik: "I always felt like I was intruding"), la questione cruciale
di
One More Time with Feeling si concretizza
nell'esigenza di evitare sia il cinismo del grief porn che l'inibizione
del commiserevole mutismo (ancora Dominik: "As a friend, I wouldn't ask
Nick the questions that I would ask him as a director. And I had to be
the director"). Si tratta, invece e in ultima battuta, di affidare a una
consapevolezza non edulcorata dai cascami del sentimentalismo il
coraggio di abolire la struttura narrativa riparatoria e accogliere la
dirompenza della lacerazione nello spazio filmico. Perché in fondo a
One More Time with Feeling,
topologicamente e letteralmente, nel luogo terminale della galleria di
ritratti e al luogo della persona evocata, non c'è l'immagine di Arthur,
ma uno spazio bianco. Il trauma reale della sua scomparsa ha lasciato
un vuoto che il film non può riempire, pena lo scadimento
nell'assistenzialismo, ma soltanto mostrare nella sua irreparabile
assenza. Uno spazio in cui egli è mancante, non più lì, realmente
irrappresentabile.
Un ringraziamento all'amico Francesco Saccaro, le cui osservazioni
sulla stratificazione connessa all'elaborazione del lutto hanno dato il
via a queste riflessioni.
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