"In fuga dalla guerra civile in Sri Lanka, un ex guerriero Tamil, una
giovane donna e una bambina si fingono una famiglia. Accolti come
rifugiati in Francia, vanno ad abitare in una banlieue difficile dove,
pur conoscendosi appena, cercano di vivere in armonia." (dal pressbook).
Settimo lungometraggio di Jacques Audiard,
Dheepan
si è aggiudicato la Palma d’oro al Festival di Cannes del 2015. Se la
ricompensa suprema arriva solo oggi, il figlio d’arte del celebre
dialoghista, sceneggiatore e romanziere Michel Audiard è già stato
premiato a Cannes nel 1996 con
Un héros très discret (migliore sceneggiatura) e nel 2009 con
Un prophète (Grand Prix Speciale della Giuria). Entrambi i film precedentemente ricompensati condividono con quest’ultimo, a differenza di
Un sapore di ruggine e ossa,
la tipica ossessione audiardiana: quella di un talento sopito o
nascosto che si risveglia nel protagonista a causa della pressione
ambientale e delle regole di sopravvivenza dettate dal microcosmo in cui
egli si trova accidentalmente gettato - si pensi anche al bellissimo
noir d’esordio del 1994
Regarde les hommes tomber.
Questa volta, tuttavia, l’accento è posto più sulla forza che spinge il
protagonista a ridestare il talento dormiente che sull’eccezionalità del
talento stesso: in
Dheepan l’uomo che non amava più la
guerra, come recitava il sottotitolo originale, diventa l’uomo che
torna alla guerra per amore/amare. E stavolta, inoltre, l’impianto
drammaturgico cambia sensibilmente rotta rispetto alle costruzioni
controllatissime cui Audiard ci ha abituati (
Un sapore di ruggine e ossa
rappresenta il culmine di questa signoria autoriale): tutta la parte
sentimentale della sceneggiatura è stata scritta lasciando dei vuoti da
colmare durante le riprese, che hanno dunque avuto il compito di
sviluppare i frammenti lasciati allo stato embrionale nello script.

Il
risultato definitivo, insomma, è stato fortemente influenzato dalle
dinamiche di immedesimazione degli interpreti sul set, motivo per cui si
è reso necessario un metodo di tournage diverso dal solito: non più
ciak centellinati ma numerose riprese per ogni scena, in modo da
lasciare ai tre attori principali (Antony, la piccola Claudine e Kali,
non professionisti a eccezione di quest’ultima, attrice teatrale di
Madras) la libertà di raggiungere e aggiungere sfumature nuove e
sorprendenti. Ma se il tentativo di variare registro rispetto alla
scrittura ipersorvegliata di
Un sapore di ruggine e ossa
è indubbiamente apprezzabile, questa stessa plasticità progettuale
confida eccessivamente nell’effetto di autenticità indotto dal metodo
aperto, trascinando il film nelle secche di una convenzionalità
semplificatoria che tiene l’intera vicenda malamente in bilico sul
fondale del miserabilismo benevolente (Dheepan e Yalini convertono
increduli in rupie i 500 euro offerti alla donna per fare la domestica) e
del sentimentalismo pedagogico (la piccola Illayaal che avvicina i due
falsi genitori e istruisce affettivamente la madre improvvisata). Non
soccorre, infine, il candido escapismo dell’epilogo che, pur ammantato
da un alone illusorio di sapore fantastico-favolistico che ne smorza
vistosamente la portata realistica, propone l’idillio inglese come
ottenimento di una felicità finalmente priva di ostacoli e complicazioni
(un vero figlio, qualche amico, un barbecue). E se l’intento di
Audiard, scaturito dal guizzo germinale di realizzare un remake di
Cane di paglia in una banlieue francese e assunta come indicazione ideale le
Lettere persiane di Montesquieu, consisteva nel “ricavare l’immagine eroica da una situazione derisoria” (JA),
Dheepan
oggettiva lacunosamente e solo a tratti questo proposito, il film
barcamenandosi goffamente tra squarci surreali (l’apparizione di Dheepan
dall’oscurità col cerchietto a luci intermittenti), siparietti
didascalici (il dialogo in lingua tamil con l’interprete per la
richiesta di asilo), proclami metacinematografici (Dheepan e Yalini alla
finestra: “Guarda, sembra di stare al cinema!”) e patetismi d’accatto
(Dheepan che dona a Yalini i fiori appena ricevuti da Illayaal). Titoli
di testa una spanna sopra il resto della pellicola.
Pubblicata su www.spietati.it.
Nessun commento:
Posta un commento