domenica 12 gennaio 2014

NOCHE

Una grande casa colonica in un paesaggio subtropicale, sei ventenni che tornano nel posto in cui il loro amico Miguel ha trascorso gli ultimi giorni di vita prima di suicidarsi. Vogliono inscatolare e raccogliere tutto ciò che l’amico ha lasciato dietro di sé: piatti audio ancora attaccati alle casse, cavi che giacciono sul pavimento, vestiti e oggetti sparsi qui e là. Miguel registrava ossessivamente i suoni della natura e i suoi discorsi solitari, e quelle registrazioni ora riecheggiano ovunque nella casa e all’esterno, attraverso altoparlanti che confondono i piani della percezione, tra un prima e un dopo, tra la notte e il giorno e tra la vita e la morte (dal catalogo del TFF).  






A ispirare questo progetto sono stati dei ricordi, non tanto ricordi specifici, ma ricordi di certe sensazioni che ho avuto in differenti periodi della mia vita, e anche il desiderio di affrontare la pratica cinematografica in modo sensoriale.


Dopo il sorprendente Leones, un altro esordio argentino altrettanto ragguardevole, sceneggiato e diretto dal trentacinquenne Leonardo Brzezicki. Pensato inizialmente come cortometraggio ed espanso a lungo in seguito a una prima sessione di montaggio, Noche mette in scena l’elaborazione sonora del lutto da parte dei sei amici di Miguel, giovane suicidatosi in una fattoria circondata dal bosco e ossessionato dalla registrazione compulsiva dei rumori d’ambiente. Ascoltando le incisioni che mescolano liberamente confessioni diaristiche, descrizioni oniriche, stralci di conversazioni e sonorità di varia natura, i sei amici - tra i quali Pedro, precedente compagno di Miguel - si avvicinano al momento del suicidio. Più che delucidare i rapporti affettivi che legano i sei coetanei all’amico scomparso o precisare le loro relazioni, Noche tratteggia un’esperienza di immersione, abbandono e smarrimento nell’abitazione e nel microcosmo ambientale che la circonda, assegnando al contatto con gli elementi naturali una rilevanza quasi assoluta. Eppure, tranne episodiche ed effimere eccezioni, l’intimità fisica con l’ambiente non attenua il dolore o reca conforto, ma acuisce l’isolamento reciproco e la sensazione di assenza. Pochi i momenti di distensione, perlopiù scanditi da occorrenze musicali come Fla & Flu dei Los Super Elegantes, cantata da Violeta e Matias con accompagnamento di tastiera, e Party Girl di Chinawoman, diffusa dall’impianto che giganteggia in casa poco prima dell’ascolto delle ultime, drammatiche incisioni di Miguel.

Ho voluto realizzare un film molto interiore, esplorare gli aspetti sensoriali e fisici anziché quello psicologico, un film in cui i sensi divengono l’elemento più importante e nel quale la struttura narrativa favorisca associazioni poetiche piuttosto che un’affabulazione lineare. Ho voluto intraprendere un viaggio rarefatto, soggettivo e ambiguo che non può ammettere interpretazioni singole.

La cifra stilistica impiegata da Brzezicki per veicolare densità sensoriale e salienza percettiva delle sollecitazioni ambientali risiede sostanzialmente nella stratificazione: le frequenti sovrimpressioni, spesso culminanti in dissolvenze incrociate, compongono una tessitura che aggrega più piani visivi, lasciandoli scorrere simultaneamente fino a confonderne profili e fisionomie. Stratificazione intensificata da lenti e sinuosi movimenti di macchina, in una sorta di flusso ininterrotto dalle marcate risonanze soggettive (una soggettività segnata dalle impressioni dei personaggi ma non totalmente attribuibile a loro). Ciononostante, l’autentico propulsore che spinge i sei giovani, ciascuno con reazioni differenti, ad affrontare tangibilmente la realtà del lutto è rappresentato dalle registrazioni: chi, come Violeta, rievoca episodi significativi della vita con Miguel (una festa, la sera in cui si è sparato) e chi, come Pedro, arriva persino a immedesimarsi nell'ex compagno, introiettando la furia che lo ha portato a togliersi la vita. Tra i numerosi momenti rimarchevoli, si segnalano tre sequenze: il pasto consumato all’aperto, con la successiva irruzione di un branco di cani che ne divora i resti, il già menzionato ascolto di Party Girl, risolto con un long take di bilanciato cinetismo, e l’epilogo lustrale, nel quale il corpo di Juan emerge purificato dalle acque del torrente, carne luminosa rigenerata dall’avvenuta elaborazione del lutto. Oltre al già citato Leones, col quale Noche dialoga piuttosto apertamente per impronta funerea ed enigmatica, si indovinano assonanze col cinema di Lisandro Alonso (soprattutto l’incipit di Los Muertos), analogie più ravvicinate con la radicalità sensoriale di Philippe Grandrieux (Un Lac, ma non solo) e, in misura assai stringente, con le derive trasfiguranti di Carlos Reygadas (Japon, in parte Stellet Licht e, ovviamente, Post Tenebras Lux).

Nel film questi amici tornano a visitare il luogo di Miguel, ma in effetti sono loro a essere visitati dai suoni di Miguel. Penso che qui inizi a succedere qualcosa d’interessante, una sensazione simile a quella del sogno a occhi aperti, ed è qualcosa che loro non possono fermare. Riconduco tutto ciò a quello stato speciale nel quale ci troviamo ricordando, al modo nel quale ognuno costruisce i propri ricordi.

Un ringraziamento a Elisa Schiavi per il contributo.

Pubblicata su www.spietati.it

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