
Il fatto di mostrare i volti di ragazzi morti mi ha portato a una riflessione etica su quanto sia pornografico rappresentarli. Qual è la faccia della mortalità? Quale la forma dell’immortalità? Ma, ancora più importante, ne so abbastanza? Così diveniamo progressivamente capaci di vedere i loro volti: questa capacità cresce perché il personaggio di Isabel sta realizzando che cosa è successo. In un certo senso l’angoscia si sta tramutando in tristezza. Questa è la differenza principale tra la tristezza che deriva dalla comprensione e la disperazione che dipende dall’ignoranza di ciò che sta succedendo.
Nel film sono abbastanza evidenti diversi rimandi ad alcuni grandi film: Blow Up per la partita a pallavolo immaginata, Gerry per il finale, I quattrocento colpi per la fuga che finisce sulla spiaggia... Quanto pesa la formazione cinematografica nei tuoi lavori?
Ebbene, direi che è la cosa più importante. Sono prima un’appassionata di cinema e poi una filmmaker.
Nella seconda parte del film, dopo diverse riprese lunghe
focalizzate sui protagonisti, la macchina da presa li perde per
addentrarsi nella natura selvaggia. Quanto è importante questa libertà
visiva e che ruolo ha la natura in Leones?
Ha più a che fare col tempo. Volevo generare un punto di vista che ne sapesse più dei personaggi. E la natura è una parte di questa narrazione: la natura ne sa di più e, insieme alla camera, aspetta il loro ritorno.
Ti ha influenzato in qualche modo la natura fantasmatica del cinema di Weerasethakul?
Non proprio, ho visto soltanto uno dei suoi film. È grande ma non l’ho davvero studiato.
Ebbene, direi che è la cosa più importante. Sono prima un’appassionata di cinema e poi una filmmaker.
Ha più a che fare col tempo. Volevo generare un punto di vista che ne sapesse più dei personaggi. E la natura è una parte di questa narrazione: la natura ne sa di più e, insieme alla camera, aspetta il loro ritorno.
Ti ha influenzato in qualche modo la natura fantasmatica del cinema di Weerasethakul?
Non proprio, ho visto soltanto uno dei suoi film. È grande ma non l’ho davvero studiato.

Per me si tratta di una sola cosa: i tre corti e Leones sono parti di un’unica ricerca. Attraverso questi lavori sto tentando di scoprire qualcosa che non ho ancora trovato, sicché continuerò a cercare. Quello che provo a fare nei miei film non riguarda la trasformazione della realtà, al contrario voglio che immagini e suoni siano quanto più possibile reali. Eppure, da Parece la pierna de una muñeca a Leones, la camera, pur potendosi considerare un personaggio immerso nella realtà filmica alla stregua degli altri personaggi, resta una presenza che non può intervenire immediatamente e direttamente su questa realtà. In Leones la camera è in qualche modo il sesto personaggio, ma un personaggio muto. Questo statuto misto dello sguardo mi permette di spingermi in ciò che sta oltre la realtà stessa, di interrogare il supposto significato delle cose. Supposto poiché, per me, ciò che va oltre l’apparenza è come una pagina bianca in cui confluiscono presente e passato. Una pagina bianca che lo spettatore è invitato a riempire con un contributo attivo.

Con le emozioni ho una specie di rapporto a scoppio ritardato, di solito prendo consapevolezza delle mie emozioni solo una volta che la situazione è passata. Non ho alcuna capacità di comprendere i miei sentimenti presenti, così devo sempre attendere… In parte Leones è un film su questa dinamica: Isabel deve attraversare l’intero percorso della pellicola per realizzare che cosa prova per gli altri, che cosa sia veramente accaduto a lei e ai suoi amici.

È bello quello che dici. Per me questo libro rappresenta la perfezione della percezione e la natura di ogni linguaggio artistico: dato lo sguardo, aggiungiamo la realtà e il risultato è una realtà incorniciata. Così, alla fine, un artista è un essere umano che deve esercitare e lavorare attraverso la propria soggettività. Sono convinta che la soggettività possa cambiare la realtà dando come risultato la bellezza.

Nei miei lavori di grandi dimensioni si possono indovinare le varie
fasi dell’elaborazione, lascio spesso tracce del processo di
composizione nell’immagine. Grazie all’ampiezza dei quadri [alcune opere
raggiungono la misura di 210 x 340 cm], è possibile scorgere i vari
strati che si sovrappongono dando sia l’impressione di non finito che
quella dei diversi tempi di produzione dell’immagine: ampie porzioni di
tela grezza, segni e contorni appena accennati, figure delineate nel
loro divenire. E, come nei miei film, lo spettatore è sollecitato a
scorgere e integrare, in modo attivo e personale, i tempi e gli spazi
che si dispiegano davanti ai suoi occhi. Sto provando a collegare tempi
diversi creando un cerchio perfetto: sotto la sensualità, il cerchio è
una sorta di tunnel aperto che ci permette di continuare a camminare
emotivamente in questo mondo.
Intervista pubblicata su www.spietati.it.