mercoledì 21 dicembre 2011

Oltre la vendetta. Il cinema di Park Chan-wook

Aperto dalla Prefazione di Darcy Paquet, tra i più eminenti critici del New Korean Cinema, e da un’accorta Nota storica che ripercorre le principali vicende politiche della penisola nel XX secolo, Oltre la vendetta di Michelangelo Pasini rappresenta uno studio monografico di capitale importanza per inquadrare poetica e prassi cinematografica di Park Chan-wook. Per almeno tre motivi. In primo luogo poiché situa la produzione di Park nella prospettiva d’indagine più adeguata e prolifica, ancorando i testi al contesto e stabilendo un dialogo ininterrotto tra elaborazione filmica e tensioni socioculturali in atto (ed è questa apertura pragmatica a costituire la sola chiave interpretativa in grado di inglobare, superare e correggere miopi storture e semplificazioni caricaturali come quella che imprigiona Park nella rigida etichetta di “regista della trilogia della vendetta”).

In secondo luogo perché non si limita a passare in rassegna la produzione del cineasta (inclusi corti, mediometraggi e sceneggiature) rastrellandone indistintamente temi e motivi, ma propone un’ipotesi critica che, mutuando una definizione forgiata da Alberto Pezzotta a proposito di Clint Eastwood, legge la filmografia di Park secondo il principio dell’equilibrio dinamico: “Un equilibrio da non considerarsi mai programmatico o innaturale ma come semplice risultante di pulsioni (…) capaci di rendere il suo cinema un estremo bilanciato meritevole dell’etichetta di ossimoro vivente”. Lo sviluppo della trattazione non si dimentica della tesi formulata in sede d’Introduzione, ma la riattiva spesso rendendola protagonista di una ricognizione che si spinge ben oltre la tematica vendicativa per mostrare come, a partire dal cruciale Joint Security Area (2000), quello di Park sia un cinema che si muove sul confine tra spettacolarità e introspezione, esigenze commerciali e istanze socio-politiche, meccanismi di genere e lacerazioni nazionali.

In terzo e ultimo luogo per la profondità dell’analisi. Muovendo ragionevolmente e ragionatamente dagli elementi più consistenti e immediati (gli aspetti produttivi, le configurazioni narrative, la risposta del pubblico e la ricezione critica), Oltre la vendetta conduce un’esplorazione che si addentra nelle pieghe dei testi esaminati valorizzandone peculiarità concettuali, scarti estetici e modalità di immedesimazione spettatoriale. In una parola rispettandone l’irriducibile singolarità. Ma se da una parte questo percorso di lettura tende a sottolineare l’autonomia delle pellicole (smontando il corpus della cosiddetta trilogia con argomentazione inattaccabile), dall’altra tesse una fitta rete di rimandi, riprese e rilanci (dall’altalenante formalismo di The Moon is the Sun’s Dream alla libertà espressiva di Thirst passando per la straniante visionarietà di I’m Cyborg But That’s Ok) che esalta la coesione interna e la continuità di ricerca di una filmografia in incessante evoluzione.

Coesione e continuità che si manifestano pienamente nei tre capitoli conclusivi, nei quali Pasini riallaccia le opere di Park alla situazione generale (la violenza insita nella società coreana, le contraddizioni politiche ed economiche, la crisi del modello familiare di stampo confuciano), illustrando le modalità di rappresentazione impiegate dal cineasta per intercettare, riflettere e trasporre le frizioni sociali sul piano cinematografico. A chiudere il volume, curate da Dario Stefanoni, le avvertite sezioni Filmografia e Altre sceneggiature di Park Chan-wook. Parafrasando Darcy Paquet, era giunto il tempo di uno studio approfondito dell’opera di Park: Oltre la vendetta provvede egregiamente a colmare la lacuna, convincendo anche chi - come il sottoscritto - nutre qualche scetticismo e più di una riserva nei confronti dell’autore di Oldboy e Cut